JO HA KYU: il giusto ritmo
In una delle ultime lezioni di AIKIDŌ tenuta dal Maestro Michele Marolla nel Dojo di Trieste si è studiato il KI MUSUBI NO TACHI e il SAN NO TACHI SUBURI, strettamente collegato ad esso, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista “esoterico”.
Questi concetti, che per la cultura occidentale sembrano contrapposti, in realtà per la cultura orientale, e per quella giapponese in particolare, costituiscono un’unità.
In particolare volevamo soffermarci sull’essenza di queste tecniche, e precisamente sulla sequenza JO HA KYU.
Questa sequenza fu codificata da Zeami Motokiyo, nel XIV° secolo, per descrivere gli sviluppi della storia e dell’azione nel dramma Nō.
Da allora, nel teatro, nella musica, nella letteratura, nelle arti marziali, la sequenza JO HA KYU ha rappresentato lo schema dello sviluppo di un’azione e dell’idea stessa di “inizio-sviluppo-conclusione”.
Per meglio comprendere la sequenza JO HA KYU bisogna ben comprendere il termine MA, che letteralmente significa “spazio tra due entità”.
In realtà MA ha un significato molto più ampio e profondo ed è uno dei concetti base della cultura giapponese.
Cercando di sintetizzare potremmo definirlo come qualcosa di simile a “dimensione” nel significato di “spazio”, ma anche di “tempo” inteso come “durata”.
MA è anche l’immobilità del gesto e può corrisponde al silenzio che, interrompendo la continuità di una successione di suoni, le fornisce senso e ne chiarisce la percezione.
Il vuoto, in tutta l’arte giapponese, ha un valore espressivo essenziale e incide l’azione ponendo in risalto il suo culmine emotivo.
Il MA si lega alla sequenza JO HA KYU perché per trovare il proprio MA bisogna “uccidere il ritmo”, cioè trovare il proprio JO HA KYU.
L’espressione JO HA KYU designa pertanto le tre fasi in cui viene suddivisa ogni azione:
- inizio,
- sviluppo,
- conclusione.
Per meglio comprenderne il significato, meglio partire dall’analisi dei caratteri:
- JO (序), generalmente significa inizio, principio, origine;
- HA (破), quando scritto da solo si legge yaburu, e significa rompere, strappare;
- KYU (急), significa improvvisamente, rapidamente.
Questi significati di HA e KYU danno quindi un’idea diversa rispetto alla semplice sequenza di inizio-sviluppo-conclusione.
La sequenza JO HA KYU dà una sensazione di tensione o di stress che inizia e si costruisce fino al momento in cui la tensione si interrompe e la risoluzione ci porta alla fine.
La prima fase è determinata dall’opposizione tra una forza che tende a svilupparsi e un’altra che la trattiene (JO= trattenere); la seconda (HA= rompere, spezzare) è costituita dal momento in cui ci si libera da questa forza, fino ad arrivare alla terza fase (KYU= rapidità) in cui l’azione raggiunge il suo culmine e dispiega tutte le sue forze per poi arrestarsi improvvisamente, come davanti ad un ostacolo, a una nuova resistenza.
Come si rileva, il significato più profondo di questa sequenza è di dare un senso di “tensione” all’inizio; tensione che si innalza fino al momento in cui si trasforma in azione, e questa porta alla risoluzione finale.
Ma c’è di più. Quando viene appresa questa sequenza, questo modo apparentemente artificiale di muoversi viene tagliato fuori dallo spazio/tempo quotidiano e appare per questo più vivo e cioè “deciso”. E decidere vuol dire, etimologicamente, “tagliare”.
L’espressione “essere deciso” assume così, ancora un’altra faccia. È come se indicasse anche il tagliarsi fuori dalle pratiche quotidiane.
In particolare, se esaminiamo le tecniche dal quale eravamo partiti potremo trovare:
- JO è la fase nella quale si realizza l’intenzione di attaccare da parte di uke, il movimento di tori è conseguentemente lento, di studio, di presa di coscienza, di preparazione alla strategia decisa;
- HA è la fase nella quale il momento di tensione/preparazione, sfocia in azione. A questo punto la fase di studio è finita e la decisione è presa, ed è interessante notare quanto diverso sia il tempo (ma), la sensazione (kimochi/feeling) e il movimento tra questi due momenti, dove la trasformazione avviene così repentinamente e bruscamente che si percepisce come qualcosa di “strappato”;
- all’apice della tensione si esprime la fase KYU. Tutta la sequenza porta infatti a questo punto: viene scaricata tutta l’energia (che scaturisce dall’intenzione) e non c’è possibilità di altre soluzioni.
Al termine della fase KYU l’azione non è ancora terminata. A questa esplosione di energia c’è un momento di sospensione: la condizione di ZAN SHIN (mantenere lo spirito all’erta).
Nell’AIKIDŌ, come in tutte le Arti giapponesi, l’inizio (del kata) è lento. È una fase di studio e di presa di posizione (fase JO).
La fase HA inizia quando la tensione si trasforma in azione: quando uke inizia l’attacco e tori inizia la tecnica.
Tra i due momenti c’è una sostanziale differenza sia nelle emozioni che nei movimenti: la prima è una fase di “intimidazione” da parte di uke e di “resistenza/solidità” da parte di tori. È una fase dove i movimenti sono lenti e l’emozione (concentrazione, paura, eccitazione) si va espandendo.
La seconda è una fase dove i movimenti sono molto rapidi, il corpo e l’azione hanno il sopravvento sulla mente: tori impedisce a uke di nuocere.
A questa fase segue la fase finale KYU, dove si scarica tutta l’energia accumulata nelle prime due fasi. È rapida e conclusiva.
Quando questa fase finisce c’è un momento di sospensione: la condizione di ZAN SHIN (controllo), una fase di attenzione fino al completo cambiamento della situazione, intendendo per “situazione” anche la propria respirazione, a questo punto il kata è terminato: il potenziale dell’energia si è completamente espresso.
Saper cogliere il momento migliore (awase) è un’esperienza che viene con il tempo.
La fragilità di uke si manifesta nel breve periodo di tempo in cui cerca di colpire. Per una frazione di secondo la sua energia gli impedisce di modificare il colpo. In genere questo istante avviene nel momento di cambio tra inspirazione ed espirazione. In quel momento solitamente parte il colpo, e una volta partito non può essere modificato.
Nel tempo che precede l’attacco, si sperimenta una condizione di vigile calma, sostenuta dalla respirazione diaframmatica. Per essere pronto, tori armonizza la sua respirazione a quella di uke.
Se guardiamo alla vita quotidiana potremo constatare che nulla è più inibente della perdita di attenzione che accompagna l’ansia o la paura (perdita di energia).
Dobbiamo essere consapevoli che anche nella quotidianità un attacco serio è sempre preparato, magari per una brevissima frazione di tempo.
Se noi impariamo a percepirlo ecco che una battuta cattiva o una scorrettezza, seppure seccanti, non ci trovano impreparati e pertanto non verranno percepiti come un attacco alla nostra stabilità emotiva.
Esempio: Noi possiamo disinnescare una discussione variando il ritmo di quest’ultima, rallentandola (un sorriso, una battuta), o accelerandola portandola a chiusura (rimandando la discussione ad un momento successivo).
Questo, pensiamo, vuole dire: VIVERE L’AIKIDŌ.